PASSERANO: il Tar del Lazio respinge il ricorso del Comune di Gallicano nel Lazio contro il vincolo del Ministero


Di seguito, pubblichiamo il testo integrale della sentenza del Tar del Lazio che respinge il ricorso del Comune di Gallicano nel Lazio contro il vincolo apposto ad ottobre 2017 da parte del Ministero sull'intera tenuta di Passerano.



Pubblicato il 30/10/2018
N. 10465/2018 REG.PROV.COLL.
N. 06497/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6497 del 2018, proposto da
Comune di Gallicano nel Lazio, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Alessandro Pioli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, via Tremiti 10; 
contro
Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per l'Area Metropolitana di Roma, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
nei confronti
Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Rosanna Panariello, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, via Poli 29;
per l'annullamento, previa sospensiva,
del decreto MIBACT-SR-LAZ - REP. Decreti del 18.10.2017 n. 95 con cui è stata conclusa la verifica dell’interesse storico artistico del complesso immobiliare denominato “Tenuta di Passerano” sita nel Comune di Gallicano nel Lazio.


Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per l'Area Metropolitana e della Regione Campania;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 ottobre 2018 la dott.ssa Cecilia Altavista e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO
Con il presente ricorso è stato impugnato il decreto del Segretario Regionale - Presidente della Commissione Regionale per la tutela del patrimonio culturale del Lazio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, del 18 ottobre 2017 con cui è stata conclusa la verifica, ai sensi dell’art. 12 del d.lgs. n. 42 del 2004, nel senso dell’interesse storico-artistico del complesso immobiliare “Tenuta di Passerano” distinto al catasto al foglio 1 particelle: 44 graffata, 45, 46, 48, 49, 52, 53, 55, 57, 58; al foglio 2 particelle: 34 sub 2, 35, 36, 65, 73; al foglio 5 particelle: 3, 4, 5 sub 2, 7, 69, 70, 73, 74, 75, 76, 77, 79, 120, 121; particelle 6, 47, 50 sub 1, 2; 51 sub 1, 2; 54 sub 1, 2 (c.f.); 1, 2, 3, 4, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 17, 23, 34, 59 (c.t.); al foglio 2 particelle 10, 13 sub 1, 2, part. 30, 34, sub 1, 3, 4, 5, 6; part. 67 sub 1, 2 (c.f.); particelle: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 11, 14, 15, 18, 19, 20, 21, 22, 25, 26, 27, 28, 29, 31, 32, 33, 40, 41, 43, 44, 45, 47, 50, 51, 52, 53, 54, 55, 56, 57, 58, 59, 60, 61, 62, 63, 64, 69, 70, 71, 72 (c.t.); al foglio 4 particelle 4, 6, 8, 11, 14, 15, 20, 21, 54, 61, 69, 83 (c.t.); al foglio 5 particelle 2, sub 1-2; particelle 5, sub1-3-4; part. 8, 25, sub 1-2-; 71 sub 1-2; part.1, 9, 10, 12, 14, 15, 17, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 26, 27, 28, 30, 31, 32, 33, 34, 50, 51, 52, 53, 54, 72, 78,119 (c.t.).
Il provvedimento è basato sulla relazione storico-artistica allegata allo stesso che fa riferimento ai numerosi reperti di età preromana e romana, nonché alla rilevanza del castello medievale e alla presenza dei paesaggi tipici ancora incontaminati della campagna romana.
La difesa ricorrente ha dedotto di avere proposto ricorso gerarchico ai sensi dell’art. 16 del d.lgs. n. 42 del 2004, rispetto al quale si è formato silenzio rigetto, non essendo intervenuta alcuna risposta nei termini di cui all’art. 6 del d.p.r. 1199 del 1971 e ha formulato le seguenti censure:
violazione e falsa applicazione degli articoli 10 e 12 del d.lgs. n. 42 del 2004; dell’art. 39, comma 2, del d.p.c.m. 171 del 29 agosto 2014;
violazione degli articoli 8, 9, 10 e 10 bis della legge n. 241 del 1990;
eccesso di potere per difetto di istruttoria; irragionevolezza manifesta; disparità di trattamento; violazione del principio di certezza e di affidamento; violazione del difetto di irretroattività degli atti amministrativi.
Si è costituita la Regione Campania, eccependo la tardività del ricorso e contestandone la fondatezza.
Alla camera di consiglio del 26 giugno 2018 è stata fissata l’udienza pubblica del 16 ottobre 2018.
Si è successivamente costituita l’Avvocatura dello Stato per il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per l'Area Metropolitana di Roma depositando documentazione; con memoria depositata il 14 settembre 2018 la difesa erariale ha contestato la fondatezza del ricorso avversario.
All’udienza pubblica del 16 ottobre 2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
In via preliminare deve essere esaminata la eccezione di tardività del ricorso proposta dalla difesa della Regione Campania. La eccezione è infondata. Infatti, la difesa ricorrente ha depositato in giudizio il ricorso amministrativo proposto, ai sensi dell’art. 16 del d.lgs. n. 42 del 2004, con PEC inviata al Ministero l’11 dicembre 2017, in cui afferma di avere ricevuto la notifica del decreto del 18 ottobre 2017 in data 10 novembre 2017 (né è stata dedotta dalle controparti alcuna circostanza contraria).
L’art. 16 del d.lgs. n. 42 del 2004 prevede che avverso il provvedimento conclusivo della verifica di cui all'articolo 12 o la dichiarazione di cui all'articolo 13 sia ammesso ricorso al Ministero, per motivi di legittimità e di merito, entro trenta giorni dalla notifica della dichiarazione.
Per la decisione ministeriale è previsto il termine di novanta giorni dalla presentazione dello stesso. In base al comma 5 dell’art. 16 “si applicano le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1971, n. 1199”, tra cui evidentemente altresì l’art. 6 per cui “decorso il termine di novanta giorni dalla data di presentazione del ricorso senza che l'organo adito abbia comunicato la decisione, il ricorso si intende respinto a tutti gli effetti, e contro il provvedimento impugnato è esperibile il ricorso all'autorità giurisdizionale competente, o quello straordinario al Presidente della Repubblica.”
Ne deriva la tempestività del presente ricorso, inviato alla notifica l’8 maggio 2018, nel termine di sessanta giorni dalla formazione del silenzio ai sensi dell’art. 6 del d.p.r. 1199 del 1971.
Nel merito il ricorso è infondato.
Con la prima censura si sostiene la illegittimità del decreto, in quanto erroneamente l’Amministrazione avrebbe seguito il procedimento di verifica previsto dall’art. 12 del d.lgs. 42 del 2004 invece della dichiarazione di cui all’art. 13 del detto decreto legislativo; inoltre, per il procedimento di dichiarazione, l’art. 14, comma 3, prevede espressamente la comunicazione al Comune nel caso di dichiarazione relativa ai “complessi immobiliari”, mentre nel caso di specie è mancata la partecipazione del Comune al procedimento.
La censura è infondata.
L’art. 10 del d.lgs. n. 42 del 2004 (codice dei beni culturali e del paesaggio) indica i beni culturali, distinguendo i beni che hanno già tale qualità da quelli a cui la particolare rilevanza storico-artistica viene riconosciuta con la dichiarazione.
I primi sono sottoposti direttamente al regime dei beni culturali, con i relativi limiti alla circolazione e gli obblighi di conservazione, fino a quando intervenga la verifica prevista dall’art. 12, con un procedimento che può portare alla esclusione della rilevanza storico-artistica del bene, con conseguente sottrazione al regime dei beni culturali. La seconda categoria di beni individuata dall’art. 10 riguarda beni che vengono sottoposti al regime previsto dal codice dei beni culturali solo a seguito della dichiarazione.
Infatti, in base al primo e al secondo comma dell’art. 10, “sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico.
Sono inoltre beni culturali:
a) le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico;
b) gli archivi e i singoli documenti dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico;
c) le raccolte librarie delle biblioteche dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente e istituto pubblico, ad eccezione delle raccolte che assolvono alle funzioni delle biblioteche indicate all'articolo 47, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616”.
Invece, il comma 3 dell’art. 10 considera “beni culturali, quando sia intervenuta la dichiarazione prevista dall'articolo 13:
a) le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante, appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1;
b) gli archivi e i singoli documenti, appartenenti a privati, che rivestono interesse storico particolarmente importante;
c) le raccolte librarie, appartenenti a privati, di eccezionale interesse culturale;
d) le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse, particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte, della scienza, della tecnica, dell'industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose. Se le cose rivestono altresì un valore testimoniale o esprimono un collegamento identitario o civico di significato distintivo eccezionale, il provvedimento di cui all'articolo 13 può comprendere, anche su istanza di uno o più comuni o della regione, la dichiarazione di monumento nazionale;
d-bis) le cose, a chiunque appartenenti, che presentano un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale per l'integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione;
e) le collezioni o serie di oggetti, a chiunque appartenenti, che non siano ricomprese fra quelle indicate al comma 2 e che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, ovvero per rilevanza artistica, storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica, rivestano come complesso un eccezionale interesse”.
Tale diversa classificazione corrisponde ad una sostanziale differenza nella disciplina dei procedimenti di verifica e di dichiarazione, i quali, pur simili rispetto al profilo dell’accertamento della rilevanza storica e/o artistica del bene, comportano differenti effetti giuridici, potendo la verifica concludersi con la sottrazione del bene alla disciplina dei beni culturali a cui era originariamente sottoposto, mentre la dichiarazione, in base alla espressa disciplina dell’art. 13, comma 2, del codice, “accerta la sussistenza, nella cosa che ne forma oggetto, dell'interesse richiesto dall'articolo 10, comma 3” e comporta dunque l’applicazione del regime dei beni culturali. Invece, in base al comma 4 dell’art. 12, “qualora nelle cose sottoposte a verifica non sia stato riscontrato l'interesse di cui al comma 2, le cose medesime sono escluse dall'applicazione delle disposizioni del presente Titolo”. Ai sensi del successivo comma 5, “nel caso di verifica con esito negativo su cose appartenenti al demanio dello Stato, delle Regioni e degli altri enti pubblici territoriali, la scheda contenente i relativi dati è trasmessa ai competenti uffici affinché ne dispongano la sdemanializzazione qualora, secondo le valutazioni dell'amministrazione interessata, non vi ostino altre ragioni di pubblico interesse”. In base alla successiva disposizione del comma 6, le cose di cui al comma 4 e quelle di cui al comma 5 per le quali si sia proceduto alla sdemanializzazione sono liberamente alienabili, ai fini del presente codice”.
La differenza tra l’applicazione del procedimento di verifica e quello di dichiarazione prevista dal d.lgs. 42 del 2004, sulla base di un regime analogo previsto dalla legge n. 1089 del 1939, deriva dalla natura del soggetto proprietario del bene o dalla finalità di interesse pubblico perseguita da alcuni particolari soggetti privati. Infatti, sia in base alle espresse previsioni delle norme degli articoli 10, 12 e 13 sopra citate sia in base al costante orientamento giurisprudenziale, tale distinzione deriva dalla natura pubblica (o privata con finalità di interesse pubblico) dell’ente proprietario, essendo esclusa ogni valutazione dello specifico regime (demaniale o del patrimonio disponibile) del bene di un ente pubblico, in quanto la appartenenza al demanio dell’ente pubblico deriva di per sè dalla rilevanza culturale del bene in questione, essendo espressamente prevista la sdemanializzazione solo a seguito della conclusione della verifica in senso negativo.
Per il patrimonio culturale di proprietà pubblica è previsto un sistema di tutela che può definirsi reale, in quanto vige una presunzione di interesse storico ed artistico ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2004, art. 12, comma 1, il quale prevede che siano da considerarsi beni culturali ai fini del godimento della tutela codicistica, le cose mobili o immobili appartenenti allo Stato, alle Regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonchè ad ogni altro ente o istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici, che presentino un semplice interesse storico, artistico, archeologico o etnoantropologico. La presunzione di culturalità dei suddetti beni, che si ricava dal complesso di norme in esame, può essere definita provvisoria, in quanto sussiste fino a quando non sia stata effettuata una verifica da parte del Ministero competente, che può avvenire d'ufficio o su istanza dei soggetti a cui le cose appartengono, circa la effettiva sussistenza dell'interesse culturale del bene. Per i beni di proprietà privata vige, invece, un sistema di tutela del solo patrimonio culturale dichiarato, nel senso che essi godono di tutela solo in presenza della dichiarazione di interesse culturale prevista dal d.lgs. n. 42 del 2004, art. 13, rilasciata dalle competenti autorità, che ne attesti il valore storico e archeologico. Per tali beni, dunque, non è sufficiente la presenza dell’interesse storico, artistico, archeologico o etnoantropologico, così come previsto per i beni di proprietà pubblica, ma occorre che questo interesse venga dichiarato formalmente seguendo la procedure di cui al d.lgs. n. 42 del 2004, art. 14. La proprietà pubblica, quindi, gode sempre delle disposizioni di tutela previste dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, mentre la proprietà privata ne gode solo allorquando sul bene sia intervenuta una dichiarazione di interesse storico, artistico, archeologico o etnoantropologico, da parte della Soprintendenza (Cassazione civile, sez. V, 5 ottobre 2016, n. 19878; 31 ottobre 2017, n. 25947).
La verifica dell’art. 12 del Codice prevede una presunzione legale relativa di culturalità e una sottoposizione al regime integrale di bene culturale fino a che il procedimento di verifica non si sia espressamente concluso con un provvedimento amministrativo negativo di quell’interesse, con gli effetti di condizione risolutiva di quel regime; ovvero con un provvedimento positivo che conferma e consolida il regime medesimo, spiegando gli effetti di un’ordinaria dichiarazione di bene culturale ai fini della successiva trascrizione del vincolo (art. 12, comma 7). Evidentemente, il legislatore si è basato su una presunzione sul rilievo culturale dei beni di tali enti, per il solo fatto della loro appartenenza. Tale presunzione, si basa su una valutazione del legislatore del tutto ragionevole, poiché il patrimonio di tali enti - la cui attività è stata sempre finalizzata al soddisfacimento di interessi pubblici o comunque superinvidividuali - è stato accumulato in periodi storici non determinabili; presunzione ex lege di interesse culturale dei beni formalmente appartenenti alle province, ai comuni e agli altri enti legalmente riconosciuti, inclusi gli enti ecclesiastici, mediante una disciplina ratione personarum, attributiva di poteri peculiari al Ministero, presunzione ragionevolmente prevista affinché il patrimonio culturale della Nazione non sia perduto, disperso o ridotto nella sua consistenza. L'art. 12 del codice ha previsto cioè una misura di salvaguardia sui beni immobili suddetti, sulla base dell'appartenenza soggettiva e per il carattere risalente del bene, indipendentemente da una determinazione esplicita dell'organo statale competente sull'interesse storico-artistico del bene, apprezzamento che formerà oggetto della verifica d'interesse culturale di cui al citato art. 12 d.lgs. n. 42 del 2004. Si tratta di una presunzione di rilevanza culturale del bene che ha natura relativa e carattere momentaneo e che è superabile nell'ipotesi di esito negativo della verifica d'interesse culturale, con conseguente esonero, da quel momento, dall'applicazione delle disposizioni di tutela. Va, infatti, riconosciuto valore primario al principio di cui all'art. 9 Cost., relativamente alla cura dell'interesse culturale rispetto agli altri interessi pubblici o privati compresenti e che, per quanto attiene al profilo di disparità di trattamento in confronto col regime riservato ai beni di proprietà privata, pare evidente la non irragionevolezza della diversità di disciplina atteso che i soggetti indicati all'art. 10, comma 1, rappresentano comunità e categorie che per fini istituzionali, costitutivi, storici e di vocazione tradizionalmente svolgono attività di rilevanza e di interesse pubblico, potendosi presumere così un interesse collettivo, di varia natura, da dover verificare in concreto prima di consentire qualunque intervento sui beni stessi (Consiglio di Stato, Sez. VI, 30 maggio 2017, n. 2597). Il sistema delineato fin dalla legge n. 1089 del 1939 protegge il patrimonio pubblico, che in uno Stato democratico è patrimonio di tutti i cittadini, in via presuntiva, ovvero assoggettando al vincolo tutti i beni, e fra essi tutti gli immobili, di proprietà pubblica per i quali l'interesse culturale è ipotizzabile; impone però la tutela in via di presunzione relativa, perché non proibisce in alcun modo all'amministrazione di far venir meno la tutela, ove essa abbia accertato, nell'esercizio delle proprie specifiche competenze in materia, che l'interesse in concreto non sussiste (Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 ottobre 2017, n. 4829; 7 maggio 2018, n. 2698; cfr. inoltre VI, 14 febbraio 2017, n. 642, che, con riferimento alla disciplina dell’art.4 della legge 1089 del 1939, conferma la presunzione di culturalità dei beni delle province, dei comuni, degli enti e degli istituti legalmente riconosciuti prevista da tale norma previgente, affermando inoltre espressamente la irrilevanza del richiamo agli articoli 822-824 del codice civile del 1942 al demanio dello Stato, delle province e dei comuni, nella parte in cui si riferisce agli immobili riconosciuti d’interesse storico, archeologico ed artistico a norma delle leggi in materia, sia perché, quando si tratti degli enti e degli istituti legalmente riconosciuti, non si può ritenere che i loro patrimoni possano rientrare nel demanio pubblico, sia perché prima dell’iscrizione negli elenchi o del riconoscimento dell’interesse storico e dunque della configurazione della titolarità del demanio, l’art. 4 della legge n. 1039 del 1989 ha disposto l’applicazione delle misure di protezione previste dalla legge per i beni delle province e dei comuni, “per il solo fatto che vi fosse la loro formale titolarità”).
La disposizione di cui all'art. 12 del d.lgs. n. 42 del 2004 prevede, dunque, un vincolo culturale in forza di una presunzione di legge, superabile soltanto a seguito di una verifica negativa finalizzata all'esclusione dell'interesse culturale e - conseguentemente - al definitivo esonero dall'applicazione delle disposizioni di tutela dei beni culturali (art. 12, comma 4), anche in vista di una loro eventuale sdemanializzazione (art. 12, commi 5 e 6). Diversamente, in caso di conferma dell'interesse culturale presunto, le cose di cui all'art. 10 del medesimo d.lgs. n. 42 del 2004 restano definitivamente sottoposte alle disposizioni di tutela del codice dei beni culturali, ai sensi dell'art. 12, comma 7.
Dal quadro normativo e giurisprudenziale sopra richiamato deriva la infondatezza della censura relativa all’erronea applicazione del procedimento di verifica, che invece risulta immediatamente applicabile per la sola appartenenza del bene sotto il profilo soggettivo alla Regione Campania (come lo era, del resto, in base alla giurisprudenza sopra richiamata, secondo il regime della legge n. 1089 del 1939, anche per la precedente proprietà dell’Istituto per i ciechi Colosimo, ente pubblico soppresso dalla legge n. 641 del 1978).
L’infondatezza della prima censura comporta l’infondatezza anche della seconda censura con cui si lamenta la mancata partecipazione al procedimento del Comune di Gallicano nel Lazio.
La espressa previsione dell’art. 14, per cui l’avvio del procedimento di dichiarazione deve essere comunicato al Comune e alla Città metropolitana nel caso di complessi immobiliari, non può infatti essere applicata anche al procedimento di verifica, in relazione alla differenza di effetti giuridici tra i due procedimenti. In particolare, poiché la verifica non comporta alcun mutamento di regime di circolazione e di tutela, il bene resta sottoposto alle disposizioni di tutela già applicabili, con conseguente non necessità, per il legislatore, della comunicazione dell’avvio del procedimento al Comune e alla Città metropolitana. La disposizione del comma 3 dell’art. 14 del d.lgs. n. 42 del 2004 deve essere, infatti, letta insieme a quella del comma 4 dell’art. 14, per cui la comunicazione di avvio del procedimento di dichiarazione comporta l'applicazione, in via cautelare, delle disposizioni di tutela e conservazione dei beni culturali. Ne deriva la necessaria comunicazione al Comune, al fine dell’effettività della tutela già dall’avvio del procedimento di dichiarazione (ad esempio per procedimenti edilizi in corso).
Né può farsi applicazione delle disposizioni generali in materia di partecipazione al procedimento (artt. 7 e 8 della legge n. 241 del 1990), in quanto il provvedimento di verifica non produce alcun effetto nella sfera giuridica dell’ente Comune.
Con ulteriore censura si sostiene poi il difetto di istruttoria e la irragionevolezza del decreto di vincolo, nonché la violazione del principio di affidamento e di divieto di retroattività degli atti amministrativi. In particolare, la difesa ricorrente deduce, peraltro genericamente, che l’Amministrazione ha posto il vincolo su una ampia zona estesa per circa 900 ettari e senza alcuna valutazione delle opere pubbliche già realizzate e di quelle oggetto di procedimenti comunali già avviati.
Anche tale censura è infondata.
Con riferimento alla violazione del principio di affidamento e al divieto di retroattività degli atti amministrativi si deve richiamare, in primo luogo, quanto sopra evidenziato circa la natura del vincolo previsto, ai sensi dell’art. 10, comma 1, sui beni immobili di proprietà pubblica. Poiché si tratta di un vincolo che deriva direttamente dall’appartenenza pubblica del bene immobile e che sottopone il bene al regime di tutela dal momento del suo acquisto alla mano pubblica (nel caso di specie, anche quando era di proprietà di un ente pubblico, a cui era comunque applicabile il regime dell’art. 4 della legge n. 1089 del 1939), l’adozione di atti comunali che non presuppongono tale vincolo non può avere comportato alcun affidamento in capo al Comune di Gallicano nel Lazio o ad altri soggetti.
Ne deriva, quindi, la irrilevanza della cronologia degli atti amministrativi posti in essere dal Comune rispetto al momento di adozione del decreto impugnato con il presente ricorso.
Il vincolo, comunque, non impedisce interventi sulla Tenuta, che devono essere sottoposti alla disciplina di tutela degli articoli 20 e seguenti del d.lgs. n. 42 del 2004 (divieto di distruzione, deterioramento, danneggiamento o di usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione; autorizzazione del Ministero per gli interventi consentiti).
Sostiene poi la difesa ricorrente genericamente il difetto di istruttoria e la irragionevolezza di una tutela così estesa, in quanto il decreto avrebbe in maniera illegittima vincolato sotto il profilo storico artistico un ambito molto vasto e senza alcuna valutazione dell’effettivo contesto dell’area (con opere pubbliche già realizzate - elettrodotto, bretella autostradale, ferrovia- e con vari procedimenti comunali in corso - centrale a biomasse, progetto di cimitero).
Ritiene il Collegio l’infondatezza di tali profili di censura in relazione al costante orientamento giurisprudenziale, già espresso anche della Sezione, concernente le valutazioni storico artistiche di un bene.
In primo luogo, nel caso di specie, occorre richiamare la giurisprudenza del Consiglio di Stato, per cui “a fronte di procedimenti volti alla verifica dell’interesse storico-artistico di un bene che appartiene ad un ente pubblico o a persona giuridica privata senza fine di lucro, e che dunque è presunto bene culturale in ragione di tale appartenenza, la motivazione del provvedimento di tutela non deve dar conto della presenza di un interesse particolarmente importante, che deve invece caratterizzare la cosa oggetto di dichiarazione di bene culturale quando appartenga a privati …. In altri termini, perché la verifica dell’art. 12 si concluda nel senso della conferma della qualità di bene culturale di una cosa, è sufficiente che questa sia dimostrata possedere un interesse culturale semplice (“senza aggettivazioni”, come dice la relazione di accompagnamento al Codice), non già quell’interesse qualificato” (sez. VI, 16 luglio 2015, 3560).
Inoltre, il giudizio che presiede all'imposizione di una dichiarazione di interesse culturale, è connotato da un'ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché implica l'applicazione di cognizioni tecnico - scientifiche specialistiche proprie di settori scientifici disciplinari (della storia, dell'arte e dell'architettura) caratterizzati da ampi margini di opinabilità. Ne consegue che l'apprezzamento compiuto dall'Amministrazione preposta alla tutela - da esercitarsi in rapporto al principio fondamentale dell'art. 9 Cost. - è sindacabile, in sede giudiziale, esclusivamente sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l'aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, ma fermo restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche, sicché, in sede di giurisdizione di legittimità, può essere censurata la sola valutazione che si ponga al di fuori dell'ambito di opinabilità, affinché il sindacato giudiziale non divenga sostitutivo di quello dell'Amministrazione attraverso la sovrapposizione di una valutazione alternativa, parimenti opinabile. In altri termini, la valutazione in ordine all'esistenza di un interesse culturale (artistico, storico, archeologico o etnoantropologico) particolarmente importante, tale da giustificare l'imposizione del relativo vincolo è prerogativa esclusiva dell'Amministrazione preposta alla gestione del vincolo e può essere sindacata in sede giurisdizionale solo in presenza di profili di incongruità ed illogicità di evidenza tale da far emergere l'inattendibilità della valutazione tecnico-discrezionale compiuta. Quindi, l'apprezzamento compiuto dalla P.A. preposta alla tutela è sindacabile dal giudice solo sotto i profili di logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l'aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, fermo, però, restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche (Consiglio di Stato, Sez. VI, 14 ottobre 2015, n. 4747; 2 gennaio 2018, n. 17; Tar Lazio, seconda quater, 7 marzo 2017, n. 3208).
Infine, anche la ampiezza dell’estensione del vincolo storico-artistico non comporta di per sé alcun profilo di eccesso di potere, secondo la giurisprudenza, potendo anche tale vincolo essere posto su una ampia estensione quando la finalità sia quella di conservare la consistenza materiale del bene nella sua interezza (Consiglio di Stato, Sez. VI, 3 luglio 2012, n. 3893).
Alla luce di queste considerazioni, le censure proposte sono infondate, in quanto il provvedimento che ha verificato l'interesse storico-artistico del bene pubblico, nel caso di specie, è ampiamente motivato con il richiamo alla relazione tecnica allegata della Soprintendenza, che dà conto della particolare rilevanza della Tenuta, unitariamente considerata nel corso dei secoli (il cui confine Est risulta riportato già dal X secolo in un documento Sublacense), con una analisi dei vari elementi costitutivi di detto bene e del loro valore e significato storico, oltre che architettonico, dimostrando una valutazione che non presenta né profili di illogicità, né profili di incongruità, risultando invece ampiamente e logicamente documentata e motivata, con riferimento sia ai singoli elementi storici e artistici, sia al loro insieme e al loro valore complessivo.
In particolare, la relazione allegata fa riferimento alla rilevanza storico-artistica della tenuta nel suo complesso nei vari periodi storici: alla presenza diffusa di reperti romani e preromani (già oggetto di vincolo archeologico con d.m. del 13 febbraio 1998); alla rilevanza del Castello nel medioevo; evidenziando in particolare l’aspetto attuale del Castello e del borgo agricolo sottostante, che “restituiscono l’immagine del piccolo villaggio che nel medioevo si stagliò ai piedi dei bastioni”; per la rilevanza della tenuta anche nei secoli successivi viene richiamato un manoscritto del 1637, da cui “si ricava l’immagine di un paesaggio in cui le coltivazioni convivono, rispettandole e talora riutilizzandole, con le testimonianze storiche”. La relazione dà anche atto dell’aspetto attuale della Tenuta, facendo specifico riferimento alla esistenza della bretella autostradale, della ferrovia Alta Velocità e della centrale ENEL, affermando peraltro espressamente che “nonostante tali inserimenti la Tenuta di Passerano consente di apprezzare il paesaggio tipico della Campagna Romana, che si conserva per larghe estensioni incontaminato”.
Ne deriva che l’Amministrazione ha ampiamente valutato anche l’attuale stato dei luoghi dando espresso conto nella relazione della rilevanza storico artistica della Tenuta, delle ragioni tecnico-scientifiche (di carattere storico e artistico) che hanno portato a concludere la verifica in senso confermativo del vincolo sul compendio immobiliare, della non alterazione dei tratti originari del compendio immobiliare da parte degli interventi infrastrutturali realizzati.
Anche sotto ultimo profilo, è sufficiente richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale, per cui non rileva che il bene abbia subito, nel tempo, alterazioni rispetto alla sua originaria configurazione, in quanto la tutela storico-artistica protegge non già un'opera dell'ingegno dell'autore, ma “un'oggettiva testimonianza materiale di civiltà” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 14 ottobre 2015, n. 4747), circostanza che nel caso di specie risulta integralmente dalla relazione storico-artistica allegata al decreto.
Il ricorso è quindi infondato e deve essere respinto.
In relazione alla particolarità delle questioni sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 ottobre 2018 con l'intervento dei magistrati:
Leonardo Pasanisi, Presidente
Floriana Rizzetto, Consigliere
Cecilia Altavista, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Cecilia Altavista
Leonardo Pasanisi





IL SEGRETARIO


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