PASSERANO: IL TAR DEL LAZIO RESPINGE IL RICORSO DELLA SOCIETA' CI.GA. (proponente il megacimitero) CONTRO IL VINCOLO DEL MINISTERO
Di seguito, pubblichiamo il testo integrale della sentenza del Tar del Lazio che respinge il ricorso della società CI.GA. (proponente il progetto del megacimitero) contro il vincolo apposto ad ottobre 2017 da parte del Ministero sull'intera tenuta di Passerano.
Pubblicato il
30/10/2018
N. 10461/2018 REG.PROV.COLL.
N. 01058/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione
Seconda Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul
ricorso numero di registro generale 1058 del 2018, proposto da
Ci.Ga. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Patrizio Leozappa, Giuseppe Maniglio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’avv. Patrizio Leozappa in Roma, via Giovanni Antonelli 15;
Ci.Ga. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Patrizio Leozappa, Giuseppe Maniglio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’avv. Patrizio Leozappa in Roma, via Giovanni Antonelli 15;
contro
Ministero
dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, in persona del
Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via dei
Portoghesi, 12;
nei confronti
Regione
Campania, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e
difesa dall'avvocato Rosanna Panariello, con domicilio digitale come da PEC da
Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Poli
29;
Comune di Gallicano nel Lazio non costituito in giudizio;
Comune di Gallicano nel Lazio non costituito in giudizio;
per l'annullamento, previa sospensione,
-
del Decreto MIBACT-SR-LAZ, REP. Decreti del 18.10.2017 n. 95, comunicato via
pec alla ricorrente in data 20 novembre 2017, con il quale il complesso
immobiliare denominato “Tenuta di Passerano”,
sito in Gallicano nel Lazio (RM), è stato dichiarato di interesse
storico-artistico ai sensi dell'art. 10, co. 1, del D. Lgs. 22 gennaio 2004, n.
42, e conseguentemente sottoposto a tutte le disposizioni di tutela contenute
nel predetto decreto legislativo;
nonchè,
ove occorrer possa:
-
della richiesta di verifica di interesse ex art. 12 del D. Lgs. n. 42/2004 e
D.D.G. 6.2.2004, presentata dalla Giunta Regionale della Campania – Direzione
generale per le risorse strumentali – U.O.D. Patrimonio Regionale il 12.5.2017,
prot. n. 4783;
-
della proposta di tutela ai sensi dell'art. 10, co. 1, del D. Lgs. n. 42/2004
dell'11 settembre 2017, prot. n. 21082 della Soprintendenza archeologica, belle
arti e paesaggio per l'area metropolitana di Roma, la provincia di Viterbo e
l'Etruria meridionale, acquisita agli atti del Segretariato regionale del
Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per il Lazio in
data 19.9.2017, prot. n. 7709;
-
del parere di approvazione della Commissione regionale per la tutela del
patrimonio culturale del Lazio, ai sensi dell'art. 39, co. 2, lett. a), del
DPCM n. 171 del 29.8.2014, in sede di riunione decisoria del 14.9.2017;
-
nonché di ogni atto presupposto, consequenziale o comunque connesso.
e,
in via di subordine, per il risarcimento dei danni ingiustamente patiti dalla
Ci.Ga. S.r.l. a cagione dell'adozione dei provvedimenti impugnati.
Visti
il ricorso e i relativi allegati;
Visti
gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dei Beni e delle Attivita'
Culturali e del Turismo e di Regione Campania;
Visti
tutti gli atti della causa;
Relatore
nell'udienza pubblica del giorno 16 ottobre 2018 la dott.ssa Cecilia Altavista
e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto
e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
e DIRITTO
Con
il presente ricorso è stato impugnato dalla società CI.GA, affidataria del
progetto di finanza per la progettazione e gestione del cimitero in forza di
contratto del 25 maggio 2016, il decreto del Segretario Regionale - Presidente
della Commissione Regionale per la tutela del patrimonio culturale del Lazio
del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo del 18 ottobre
2017, con cui è stata conclusa la verifica, ai sensi dell’art.12 del d.lgs. n.
42 del 2004, nel senso dell’interesse storico-artistico del complesso
immobiliare “Tenuta di Passerano”
distinto al catasto al foglio 1 particelle: 44 graffata, 45, 46, 48, 49, 52,
53, 55, 57, 58; al foglio 2 particelle: 34 sub 2, 35, 36, 65, 73; al foglio 5
particelle: 3, 4, 5 sub 2, 7, 69, 70, 73, 74, 75, 76, 77, 79, 120, 121;
particelle 6, 47, 50 sub1, 2; 51 sub 1, 2; 54 sub 1, 2 (c.f.); 1, 2
,3,4,7,8,9,10,11,12,13,17,23,34,59 (c.t.); al foglio 2 particelle 10,13,sub
1,2, part.30,34 ,sub 1, 3, 4, 5, 6; part. 67 sub 1, 2 (c.f.); particelle:1, 2,
3, 4, 5, 6, 7, 8, 11, 14, 15, 18, 19, 20, 21, 22, 25, 26, 27, 28, 29, 31, 32,
33, 40, 41, 43, 44, 45, 47, 50, 51, 52, 53, 54, 55, 56, 57, 58, 59, 60, 61, 62,
63, 64, 69, 70, 71, 72 (c.t.); al foglio 4 particelle 4, 6, 8, 11, 14, 15, 20,
21, 54, 61, 69, 83 (c.t.); al foglio 5 particelle 2, sub1-2; particelle 5,
sub1-3-4; part. 8, 25, sub 1-2-;71 sub 1-2; part.1, 9, 10, 12, 14, 15, 17, 19,
20, 21, 22, 23, 24, 26, 27, 28, 30, 31, 32, 33, 34, 50, 51, 52, 53, 54, 72, 78,
119 (c.t.).
Il
provvedimento è basato sulla relazione storico-artistica allegata allo stesso
che fa riferimento ai numerosi reperti di età preromana e romana, nonché alla
rilevanza del castello medievale e alla presenza dei paesaggi tipici ancora
incontaminati della campagna romana.
La
difesa ricorrente ha formulato le seguenti censure:
- violazione
e falsa applicazione degli articoli 10 e 12 del d.lgs. n. 42 del 2004;
dell’art. 39, comma 2, del d.p.c.m. 171 del 29 agosto 2014; dei principi di
imparzialità e buon andamento della Amministrazione; eccesso di potere per
difetto di istruttoria; difetto di motivazione; manifeste irragionevolezza ed
ingiustizia; sviamento; difetto dei presupposti; disparità di trattamento;
irragionevolezza manifesta; violazione dei principi di certezza e di
affidamento.
Si
sono costituite la Regione Campania ed il Ministero dei beni e delle attività
culturali con atti di forma.
Alla
camera di consiglio del 13 marzo 2018 è stata fissata l’udienza pubblica del 16
ottobre 2018 e contestualmente disposta istruttoria nei confronti
dell’Amministrazione statale, che ha successivamente depositato una relazione
con allegata documentazione.
In
vista dell’udienza pubblica l’Avvocatura dello Stato per il Ministero dei Beni
e delle Attività Culturali e del Turismo e la difesa della Regione Campania
hanno presentato memorie contestando la fondatezza del ricorso avversario. La
difesa ricorrente ha depositato memoria e replica.
All’udienza
pubblica del 16 ottobre 2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Con
la prima censura si sostiene la illegittimità del decreto di vincolo, in quanto
erroneamente l’Amministrazione avrebbe seguito il procedimento di verifica, ai
sensi dell’art. 12 del d.lgs. 42 del 2004, invece della dichiarazione prevista
dall’art. 13 del detto decreto legislativo, procedimento il quale, inoltre prevede
espressamente la comunicazione al Comune nel caso di dichiarazione relativa ai
“complessi immobiliari” (art. 14 comma 3), mentre nel caso di specie è mancata
la partecipazione del Comune al procedimento.
La
censura è infondata.
L’art.
10 del d.lgs. n. 42 del 2004 (codice dei beni culturali e del paesaggio) indica
i beni culturali, distinguendo i beni che hanno già tale qualità da quelli a
cui la particolare rilevanza storico-artistica viene riconosciuta con la
dichiarazione. I primi sono sottoposti direttamente al regime dei beni
culturali, con i relativi limiti alla circolazione e gli obblighi di
conservazione, fino a quando intervenga la verifica prevista dall’art. 12,
procedimento che può portare alla esclusione della rilevanza storico-artistica
del bene con conseguente sottrazione al regime dei beni culturali. La seconda
categoria di beni individuata dall’art. 10 riguarda beni che vengono sottoposti
al regime previsto dal codice dei beni culturali solo a seguito della
dichiarazione.
Tale
differente disciplina comporta che i procedimenti di verifica e di
dichiarazione, pur simili rispetto al profilo dell’accertamento della rilevanza
storica e/o artistica del bene, hanno differenti effetti giuridici, potendo la
verifica concludersi con la sottrazione del bene alla disciplina dei beni
culturali a cui era originariamente soggetto, mentre la dichiarazione, in base
alla espressa disciplina dell’art. 13, comma 2, del codice, “accerta la
sussistenza, nella cosa che ne forma oggetto, dell'interesse richiesto dall'articolo
10, comma 3” e comporta dunque l’applicazione del regime dei beni culturali.
Invece, in base al comma 4 dell’art. 12, “qualora nelle cose sottoposte a
verifica non sia stato riscontrato l'interesse di cui al comma 2, le cose
medesime sono escluse dall'applicazione delle disposizioni del presente
Titolo”. Ai sensi del comma 5, “nel caso di verifica con esito negativo su cose
appartenenti al demanio dello Stato, delle regioni e degli altri enti pubblici
territoriali, la scheda contenente i relativi dati è trasmessa ai competenti
uffici affinché ne dispongano la sdemanializzazione qualora, secondo le
valutazioni dell'amministrazione interessata, non vi ostino altre ragioni di
pubblico interesse”.
In
base al successivo comma 6, le cose di cui al comma 4 e quelle di cui al comma
5 per le quali si sia proceduto alla sdemanializzazione sono liberamente
alienabili, ai fini del presente codice”.
La
differenza tra l’applicazione del procedimento di verifica e quello di
dichiarazione prevista dal d.lgs. 42 del 2004, sulla base di un regime analogo
previsto dalla legge n. 1089 del 1939, deriva dalla natura del soggetto
proprietario del bene o (nel regime del codice) dalla finalità di interesse
pubblico perseguita da alcuni particolari soggetti privati.
Infatti,
in base al primo e al secondo comma dell’art. 10, “sono beni culturali le cose
immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti
pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a
persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti
ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico,
storico, archeologico o etnoantropologico.
Sono
inoltre beni culturali:
a)
le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi dello
Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni
altro ente ed istituto pubblico;
b)
gli archivi e i singoli documenti dello Stato, delle regioni, degli altri enti
pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico;
c)
le raccolte librarie delle biblioteche dello Stato, delle regioni, degli altri
enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente e istituto pubblico, ad
eccezione delle raccolte che assolvono alle funzioni delle biblioteche indicate
all'articolo 47, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio
1977, n. 616”.
Invece,
il comma 3 dell’art. 10 considera “beni culturali, quando sia intervenuta la
dichiarazione prevista dall'articolo 13:
a)
le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico,
archeologico o etnoantropologico particolarmente importante, appartenenti a
soggetti diversi da quelli indicati al comma 1;
b)
gli archivi e i singoli documenti, appartenenti a privati, che rivestono
interesse storico particolarmente importante;
c)
le raccolte librarie, appartenenti a privati, di eccezionale interesse
culturale;
d)
le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse,
particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica,
militare, della letteratura, dell'arte, della scienza, della tecnica,
dell'industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze
dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o
religiose. Se le cose rivestono altresì un valore testimoniale o esprimono un
collegamento identitario o civico di significato distintivo eccezionale, il
provvedimento di cui all'articolo 13 può comprendere, anche su istanza di uno o
più comuni o della regione, la dichiarazione di monumento nazionale;
d-bis)
le cose, a chiunque appartenenti, che presentano un interesse artistico,
storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale per l'integrità e la
completezza del patrimonio culturale della Nazione;
e)
le collezioni o serie di oggetti, a chiunque appartenenti, che non siano
ricomprese fra quelle indicate al comma 2 e che, per tradizione, fama e
particolari caratteristiche ambientali, ovvero per rilevanza artistica,
storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica, rivestano come
complesso un eccezionale interesse”.
La
differenza del regime previsto dall’art. 10 e dagli art. 12 e 13 del codice sia
in base alle espresse previsioni delle norme citate sia in base al costante
orientamento giurisprudenziale è legata, quindi, alla natura pubblica (o
privata con finalità di interesse pubblico) dell’ente proprietario, essendo
esclusa ogni valutazione dello specifico regime (demaniale o del patrimonio
disponibile) del bene di un ente pubblico, in quanto la appartenenza al demanio
dell’ente pubblico deriva di per se’ dalla rilevanza culturale del bene in
questione, essendo espressamente prevista la sdemanializzazione solo a seguito
della conclusione della verifica in senso negativo.
Per
il patrimonio culturale di proprietà pubblica è previsto un sistema di tutela
che può definirsi reale in quanto vige una presunzione di interesse storico ed
artistico ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2004, art. 12, comma 1, il quale
prevede che siano da considerarsi beni culturali ai fini del godimento della
tutela codicistica, le cose mobili o immobili appartenenti allo Stato, alle
Regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonchè ad ogni altro ente o
istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi
compresi gli enti ecclesiastici, che presentino un semplice interesse storico,
artistico, archeologico o etnoantropologico. La presunzione di culturalità dei
suddetti beni, che si ricava dal complesso di norme in esame, può essere
definita provvisoria, in quanto sussiste fino a quando non sia stata effettuata
una verifica da parte del Ministero competente, che può avvenire d'ufficio o su
istanza dei soggetti a cui le cose appartengono, circa la effettiva sussistenza
dell'interesse culturale del bene. Per i beni di proprietà privata vige un
sistema di tutela del solo patrimonio culturale dichiarato, nel senso che essi
godono di tutela solo in presenza della dichiarazione di interesse culturale
prevista dal d.lgs. n. 42 del 2004, art. 13, rilasciata dalle competenti
autorità, che ne attesti il valore storico e archeologico. Per tali beni,
dunque, non è sufficiente la presenza dell’interesse storico, artistico,
archeologico o etnoantropologico, così come previsto per i beni di proprietà
pubblica, ma occorre che questo interesse venga dichiarato formalmente seguendo
la procedure di cui al d.lgs. n. 42 del 2004, art. 14. La proprietà pubblica,
quindi, gode sempre delle disposizioni di tutela previste dal Codice dei Beni
Culturali e del Paesaggio, mentre la proprietà privata ne gode solo allorquando
sul bene sia intervenuta una dichiarazione di interesse storico, artistico,
archeologico o etnoantropologico, da parte della Soprintendenza (Cassazione
civile sez. V, 5 ottobre 2016, n. 19878; 31 ottobre 2017, n. 25947).
La
verifica dell’art. 12 del Codice prevede una presunzione legale relativa di
culturalità e una sottoposizione al regime integrale di bene culturale fino a
che il procedimento di verifica non si sia espressamente concluso con un
provvedimento amministrativo negativo di quell’interesse, con gli effetti di
condizione risolutiva di quel regime; ovvero con un provvedimento positivo che
conferma e consolida il regime medesimo, spiegando gli effetti di un’ordinaria
dichiarazione di bene culturale ai fini della successiva trascrizione del vincolo
(art. 12, comma 7). Evidentemente, il legislatore si è basato su una
presunzione sul rilievo culturale dei beni di tali enti, per il solo fatto
della loro appartenenza. Tale presunzione, si basa su una valutazione del
legislatore del tutto ragionevole, poiché il patrimonio di tali enti - la cui
attività è stata sempre finalizzata al soddisfacimento di interessi pubblici o
comunque superinvidividuali - è stato accumulato in periodi storici non
determinabili; la presunzione ex lege di interesse culturale
dei beni formalmente appartenenti alle province, ai comuni e agli altri enti
legalmente riconosciuti, inclusi gli enti ecclesiastici, mediante una
disciplina ratione personarum, attributiva di poteri peculiari al
Ministero, è ragionevolmente prevista affinché il patrimonio culturale della
Nazione non sia perduto, disperso o ridotto nella sua consistenza. L'art. 12
del codice ha previsto cioè una misura di salvaguardia sui detti beni immobili,
sulla base dell'appartenenza soggettiva e per il carattere risalente del bene,
indipendentemente da una determinazione esplicita dell'organo statale
competente sull'interesse storico -artistico del bene, apprezzamento che
formerà oggetto della verifica d'interesse culturale di cui al citato art. 12
D.Lgs. n. 42 del 2004, Si tratta di una presunzione di rilevanza culturale del
bene che ha natura relativa e carattere momentaneo e che è superabile
nell'ipotesi di esito negativo della verifica d'interesse culturale, con
conseguente esonero, da quel momento, dall'applicazione delle disposizioni di
tutela. Va infatti riconosciuto valore primario al principio di cui all'art. 9
Cost., relativamente alla cura dell'interesse culturale rispetto agli altri
interessi pubblici o privati compresenti e che, per quanto attiene al profilo
di disparità di trattamento in confronto col regime riservato ai beni di
proprietà privata, pare evidente la non irragionevolezza della diversità di
disciplina atteso che i soggetti indicati all'art. 10, comma 1, rappresentano
comunità e categorie che per fini istituzionali, costitutivi, storici e di
vocazione tradizionalmente svolgono attività di rilevanza e di interesse
pubblico, potendosi presumere così un interesse collettivo, di varia natura, da
dover verificare in concreto prima di consentire qualunque intervento sui beni
stessi (Consiglio di Stato, Sez. VI, 30 maggio 2017, n. 2597).
In
base all’orientamento consolidato del Consiglio di Stato, il sistema delineato
fin dalla legge n. 1089 del 1939 protegge il patrimonio pubblico, che in uno
Stato democratico è patrimonio di tutti i cittadini, in via presuntiva, ovvero
assoggettando al vincolo tutti i beni, e fra essi tutti gli immobili, di
proprietà pubblica per i quali l'interesse culturale è ipotizzabile; impone
però la tutela in via di presunzione relativa, perché non proibisce in alcun
modo all'amministrazione di far venir meno la tutela, ove essa abbia accertato,
nell'esercizio delle proprie specifiche competenze in materia, che l'interesse
in concreto non sussiste (Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 ottobre 2017, n.
4829; 7 maggio 2018, n. 2698; cfr. inoltre, Sez. VI, 14 febbraio 2017, n. 642,
che, con riferimento all’art.4 della legge 1089 del 1939, conferma la
presunzione di culturalità dei beni delle province, dei comuni, degli enti e
degli istituti legalmente riconosciuti prevista da tale norma previgente,
affermando inoltre espressamente la irrilevanza del richiamo agli articoli
822-824 del codice civile del 1942 al demanio dello Stato, delle province e dei
comuni, nella parte in cui si riferisce agli immobili riconosciuti d’interesse
storico, archeologico ed artistico a norma delle leggi in materia, sia perché,
quando si tratti degli enti e degli istituti legalmente riconosciuti non si può
ritenere che i loro patrimoni possano rientrare nel demanio pubblico, sia
perché - prima dell’iscrizione negli elenchi o del riconoscimento
dell’interesse storico e dunque della configurazione della titolarità del
demanio; l’art. 4 della legge n. 1039 del 1989 “ha disposto l’applicazione
delle misure di protezione previste dalla legge per i beni delle province e dei
comuni, per il solo fatto che vi fosse la loro formale titolarità”).
La
disposizione di cui all'art. 12 del D. Lgs. n. 42 del 2004 prevede, dunque, un
vincolo culturale in forza di una presunzione di legge, superabile soltanto a
seguito di una verifica negativa finalizzata all'esclusione dell'interesse
culturale e - conseguentemente - al definitivo esonero dall'applicazione delle
disposizioni di tutela dei beni culturali (art. 12, comma 4), anche in vista di
una loro eventuale sdemanializzazione (art. 12, commi 5 e 6). Diversamente, in
caso di conferma dell'interesse culturale presunto, le cose di cui all'art. 10
del medesimo D. Lgs. n. 42 del 2004 restano definitivamente sottoposte alle
disposizioni di tutela del codice dei beni culturali, con la trascrizione del
vincolo, ai sensi dell'art. 12, comma 7.
Dal
quadro normativo e giurisprudenziale sopra richiamato deriva la infondatezza
della censura relativa all’erronea applicazione del procedimento di verifica,
che invece risulta immediatamente applicabile per la sola appartenenza del bene
sotto il profilo soggettivo alla Regione Campania (come lo era, del resto, in
base alla giurisprudenza sopra richiamata, anche secondo il regime della legge
n. 1089 del 1939 per la precedente proprietà dell’Istituto per i ciechi
Colosimo ente pubblico soppresso con la legge n. 641 del 1978).
Dalla
infondatezza della prima censura deriva la legittimità della mancata
applicazione della previsione dell’art. 14, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004,
per cui l’avvio del procedimento di dichiarazione deve essere comunicato al
Comune e alla Città metropolitana nel caso di complessi immobiliari; tale
disciplina non deve, infatti, essere applicata anche al procedimento di
verifica in relazione alla differenza di effetti giuridici tra i due
procedimenti. In particolare, poiché la verifica non comporta alcun mutamento
di regime di circolazione e di tutela, il bene resta sottoposto alle
disposizioni di tutela già applicabili, con conseguente non necessità per il
legislatore della partecipazione del Comune e della Città metropolitana. La
disposizione del comma 3 dell’art. 14 deve essere infatti letta insieme a
quella del comma 4 dell’art. 14 per cui la comunicazione di avvio del
procedimento di dichiarazione comporta l'applicazione, in via cautelare, delle
disposizioni di tutela e conservazione dei beni culturali. Ne deriva la
necessaria comunicazione al Comune al fine di anticipare la tutela anche nel
corso del procedimento di dichiarazione (ad esempio per procedimenti edilizi in
corso), mentre nel caso di specie il bene è già sottoposto a tutela.
Né
può farsi applicazione delle disposizioni generali in materia di partecipazione
al procedimento (art.7 e 8 della legge n. 241 del 1990), in quanto il
provvedimento di verifica non produce alcun effetto nella sfera giuridica
dell’ente Comune.
Con
ulteriore censura si sostiene poi il difetto dei presupposti, di istruttoria,
la irragionevolezza del decreto di vincolo, nonché la violazione dei principi
di affidamento, di certezza e di proporzionalità.
In
particolare, la difesa ricorrente deduce che l’Amministrazione ha posto il
vincolo su una ampia zona estesa per circa 900 ettari e senza alcuna
valutazione delle opere pubbliche già realizzate e di quelle oggetto di
procedimenti comunali già avviati.
Anche
tale censura è infondata.
Sulla
violazione del principio di affidamento e sul divieto di retroattività degli
atti amministrativi si deve richiamare, in primo luogo, quanto sopra
evidenziato circa la natura del vincolo, previsto ai sensi dell’art. 10 comma 1
sui beni immobili di proprietà pubblica. Si tratta di un vincolo che deriva
direttamente dall’appartenenza pubblica del bene immobile e che sottopone il
bene al regime di tutela dal momento del suo acquisto alla mano pubblica (nel
caso di specie, anche quando era di proprietà di un ente pubblico, a cui era
comunque applicabile il regime dell’art. 4 della legge n. 1089 del 1939).
Ne
deriva, quindi, la irrilevanza della cronologia degli atti amministrativi posti
in essere dal Comune rispetto al momento di adozione del decreto impugnato con
il presente ricorso.
Il
vincolo, comunque, non impedisce interventi sulla Tenuta, che devono essere
sottoposti alla disciplina di tutela degli articoli 20 e seguenti del d.lgs. n.
42 del 2004 (divieto di distruzione, deterioramento, danneggiamento o di usi
non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare
pregiudizio alla loro conservazione; autorizzazione del Ministero per gli
interventi consentiti).
Sostiene
poi la difesa ricorrente la illegittimità di un vincolo così esteso, avendo il
decreto tutelato sotto il profilo storico-artistico un ambito molto vasto e
senza alcuna valutazione dell’effettivo contesto dell’area con opere pubbliche
già realizzate (elettrodotto, bretella autostradale, ferrovia) e con vari
procedimenti comunali in corso (impianto a biomasse, progetto di cimitero).
Ritiene
il Collegio l’infondatezza di tali profili di censura in relazione al costante
orientamento giurisprudenziale, già espresso anche della sezione, concernente
le valutazioni storico-artistiche di un bene.
In
primo luogo, nel caso di specie, occorre richiamare la giurisprudenza del
Consiglio di Stato, per cui “a fronte di procedimenti volti alla verifica
dell’interesse storico-artistico di un bene che appartiene ad un ente pubblico
o a persona giuridica privata senza fine di lucro, e che dunque è presunto bene
culturale in ragione di tale appartenenza, la motivazione del provvedimento di
tutela non deve dar conto della presenza di un interesse particolarmente
importante, che deve invece caratterizzare la cosa oggetto di dichiarazione di
bene culturale quando appartenga a privati... In altri termini, perché la
verifica dell’art. 12 si concluda nel senso della conferma della qualità di
bene culturale di una cosa, è sufficiente che questa sia dimostrata possedere
un interesse culturale semplice (“senza aggettivazioni”, come dice la relazione
di accompagnamento al Codice), non già quell’interesse qualificato” (VI, 16
luglio 2015, 3560).
Inoltre,
il giudizio che presiede all'imposizione di una dichiarazione di interesse culturale,
è connotato da un'ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché implica
l'applicazione di cognizioni tecnico - scientifiche specialistiche proprie di
settori scientifici disciplinari (della storia, dell'arte e dell'architettura)
caratterizzati da ampi margini di opinabilità.
Ne
consegue che l'apprezzamento compiuto dall'Amministrazione preposta alla tutela
- da esercitarsi in rapporto al principio fondamentale dell'art. 9 Cost. - è
sindacabile, in sede giudiziale, esclusivamente sotto i profili della logicità,
coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l'aspetto
concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo
prescelto, ma fermo restando il limite della relatività delle valutazioni
scientifiche, sicché, in sede di giurisdizione di legittimità, può essere
censurata la sola valutazione che si ponga al di fuori dell'ambito di
opinabilità, affinché il sindacato giudiziale non divenga sostitutivo di quello
dell'Amministrazione attraverso la sovrapposizione di una valutazione
alternativa, parimenti opinabile. In altri termini, la valutazione in ordine
all'esistenza di un interesse culturale (artistico, storico, archeologico o
etnoantropologico) particolarmente importante, tale da giustificare l'imposizione
del relativo vincolo, è prerogativa esclusiva dell'Amministrazione preposta
alla gestione del vincolo e può essere sindacata in sede giurisdizionale solo
in presenza di profili di incongruità ed illogicità di evidenza tale da far
emergere l'inattendibilità della valutazione tecnico-discrezionale compiuta.
L'apprezzamento compiuto dalla P.A. preposta alla tutela è, quindi, sindacabile
dal giudice solo sotto i profili di logicità, coerenza e completezza della
valutazione, considerati anche per l'aspetto concernente la correttezza del
criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, fermo, però,
restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche (Consiglio
di Stato, VI, 14 ottobre 2015, n. 4747; 2 gennaio 2018, n. 17; Tar Lazio seconda
quater, 7 marzo 2017, n. 3208).
Infine,
anche la ampiezza del vincolo non comporta di per se’ alcun profilo di eccesso
di potere secondo la giurisprudenza, potendo il vincolo essere posto su una
ampia estensione proprio al fine di conservare la consistenza materiale del
bene nella sua interezza (Consiglio di Stato, Sez. VI, 3 luglio 2012, n. 3893).
Alla
luce di queste considerazioni, le censure proposte sono infondate, in quanto il
provvedimento che ha verificato l'interesse storico-artistico del bene
pubblico, nel caso di specie, è ampiamente motivato con riferimento alla
relazione tecnica della Soprintendenza, che dà conto della particolare
rilevanza della Tenuta, unitariamente considerata nel corso dei secoli (il cui
confine Est risulta riportato già dal X secolo in un documento Sublacense), con
una analisi dei vari elementi costitutivi di detto bene e del loro valore e
significato storico dimostrando una valutazione che non presenta né profili di
illogicità, né profili di incongruità, risultando invece ampiamente e
logicamente documentata e motivata, con riferimento sia ai singoli elementi
storici e artistici, sia al loro insieme e al loro valore complessivo.
In
particolare, la relazione storico-artistica allegata fa riferimento alla
rilevanza della Tenuta nel suo complesso nei vari periodi storici: alla
presenza diffusa di reperti romani e preromani (già oggetto di vincolo
archeologico con d.m. del 13 febbraio 1998); alla rilevanza del Castello nel
medioevo; evidenziando in particolare l’aspetto attuale del Castello e del
borgo agricolo sottostante, che “restituiscono l’immagine del piccolo villaggio
che nel medioevo si stagliò ai piedi dei bastioni”; per la rilevanza storico
artistica della tenuta anche nei secoli successivi viene richiamato un manoscritto
del 1637, da cui “si ricava l’immagine di un paesaggio in cui le coltivazioni
convivono, rispettandole e talora riutilizzandole, con le testimonianze
storiche”. La relazione dà anche atto dell’aspetto attuale della Tenuta,
facendo specifico riferimento alla esistenza della bretella autostradale, della
ferrovia Alta Velocità e della centrale ENEL, affermando peraltro espressamente
che “nonostante tali inserimenti la Tenuta di Passerano consente di apprezzare il paesaggio tipico
della Campagna Romana, che si conserva per larghe estensioni incontaminato”.
Ne
deriva che l’Amministrazione ha ampiamente valutato anche l’attuale stato dei
luoghi dando espresso conto nella relazione della rilevanza storico artistica
della Tenuta, delle ragioni tecnico-scientifiche (di carattere storico e
artistico) che hanno portato a concludere la verifica in senso confermativo del
vincolo sul compendio immobiliare, della non alterazione dei tratti originari
del compendio immobiliare da parte degli interventi infrastrutturali
realizzati.
Anche
sotto tale ultimo profilo, è sufficiente richiamare il consolidato orientamento
giurisprudenziale, per cui non rileva che il bene abbia subito, nel tempo,
alterazioni rispetto alla sua originaria configurazione, in quanto la tutela
storico-artistica protegge non già un'opera dell'ingegno dell'autore, ma
“un'oggettiva testimonianza materiale di civiltà” (Consiglio di Stato, Sez. VI,
14 ottobre 2015, n. 4747), circostanza che nel caso di specie risulta
integralmente dalla relazione storico artistica allegata al decreto.
Il
ricorso è quindi infondato e deve essere respinto.
L’infondatezza
delle censure conduce al rigetto della domanda di risarcimento danni proposta
dalla società ricorrente, formulata, peraltro genericamente, in relazione “alle
illegittimità perpetrate” dalle Amministrazioni resistenti. Il rigetto della
domanda di risarcimento danni per infondatezza della domanda di annullamento
comporta il rigetto altresì della domanda proposta in via ulteriormente
subordinata ai sensi dell’art. 34, comma 1, lettera c), c.p.a..
In
relazione alla particolarità delle questioni sussistono giusti motivi per la
compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
Il
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater),
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo
respinge.
Rigetta
la domanda di risarcimento danni.
Spese
compensate.
Ordina
che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così
deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 ottobre 2018 con
l'intervento dei magistrati:
Leonardo Pasanisi, Presidente
Floriana Rizzetto, Consigliere
Cecilia Altavista, Consigliere, Estensore
|
||
|
||
L'ESTENSORE
|
IL PRESIDENTE
|
|
Cecilia Altavista
|
Leonardo Pasanisi
|
|
|
||
|
||
|
||
|
||
|
IL
SEGRETARIO
Commenti
Posta un commento