Sergio Rizzo ci parla di Passerano
L’eredità del barone Quintieri destinata ai non vedenti e finita alla Campania
Un patrimonio immenso che doveva finire in beneficenza «bruciato» dalle malefatte della burocrazia
Ecco, di seguito, un brano di «Rapaci» di Sergio Rizzo.
Il barone Giovanni Paolo Quintieri non poteva prevedere un finale più acido. Non poteva, perché quando ha fatto testamento la Regione Campania non esisteva ancora. Mai avrebbe dunque immaginato che un giorno tutto il suo sterminato patrimonio sarebbe finito nelle mani dei politici. Anche se la politica, il barone Quintieri, l’aveva avuta in famiglia. Suo padre Angelo fu deputato del parlamento del Regno d’Italia per sei legislature Mentre lui si dava alla politica, sua moglie Evelina Casalis profondeva energie e soldi per i ciechi dell’istituto Paolo Colosimo di Napoli. Il figlio seguì con tale convinzione le benefiche orme della madre al punto che alla sua morte, avvenuta il 18 agosto del 1970, lasciò in eredità ogni cosa a loro. L’immenso patrimonio della famiglia Quintieri venne perciò inizialmente assorbito dal Patronato Regina Margherita pro ciechi Istituto Paolo Colosimo. Poi nel 1979 passò tutto alla Regione Campania. E qui comincia un’altra storia. Per «tutto» si intende quanto segue.
Un enorme castello medievale, fra i più grandi e meglio conservati dell’Italia centrale, già appartenuto alle famiglie Colonna, Orsini e Rospigliosi, con intorno una tenuta agricola, a una trentina di chilometri da Roma, località Passerano: 900 ettari con oliveti, coltivazioni a mais, orzo, grano e fieno, e quasi cinquecento capi di bestiame. Una seconda tenuta agricola di 160 ettari, sempre con relativo castello, nelle Marche, a Montecoriolano, nei pressi di Porto Potenza Picena. Una serie di possedimenti in Calabria. Un palazzo di 52 appartamenti costruito durante il fascismo a Roma, in via Panama, nel cuore del prestigioso quartiere dei Parioli. Oltre, naturalmente, agli arredi e alle suppellettili presenti nelle dimore. Nel 1996, quando alla presidenza della Regione c’è Antonio Rastrelli, si fa un inventario con 765 voci. Vasi cinesi. Lampadari di Murano. Tappeti persiani. Candelabri d'argento. Salotti d’epoca. E quadri. Tanti da riempire una pinacoteca. Quadri di Domenico Bartolomeo Ubaldini, detto Il Puligo, pittore del primo Cinquecento. Quadri di alcuni fra i più importanti pittori del Seicento e del Settecento. Andrea Vaccaro. Giacinto Diano. Francesco De Mura. Gaetano Gandolfi. Peter Roos, alias Rosa da Tivoli. Pacecco De Rosa. Giovanni Francesco Barbieri, detto Il Guercino. Jusepe de Ribera, detto Lo Spagnoletto. E Rembrandt. Già, anche un «Ritratto di gentiluomo a mezzo busto» dipinto nel 1635 dal celebre pittore olandese Rembrandt Harmeszoon Van Rijn.
Il testamento del barone Quintieri stabilisce che il lascito serve a mantenere il Colosimo e i suoi ospiti non vedenti. Ma non dice come debba essere amministrato. Il condominio di Roma, i castelli, le ville, le tenute e quant’altro vengono quindi affidati alla Sauie, Società anonima urbana industria edilizia srl, una vecchia scatola creata dal barone proprio per gestire l’immobile di via Panama, che passa anch’essa sotto il controllo della Regione Campania e diventa la stanza dei bottoni per amministrare un patrimonio di centinaia di milioni di euro Quale però sia il rendimento di questo incredibile tesoro, è un capitolo a parte All’inizio degli anni Duemila inizi una battaglia a suon di interrogazioni condotta da un consigliere regionale di An, in seguito passato all’Udc, Salvatore Ronghi. Denuncia che l’Istituto per i ciechi ha ricevuto per vent’anni soltanto le briciole: 600 milioni di lire l’anno, per giunta soldi versati dagli enti locali e non proventi dell’eredità Quintieri. Che le pigioni sono ridicole, e porta l’esempio di un appartamento di cinque stanze al piano nobile di via Partenope affittato per anni a 85.535 lire al mese Che «a seguito di tale, a dir poco, disinvolta amministrazione », gli eredi della famiglia Quintieri hanno fatto causa per rientrare in possesso dei beni «così malamente utilizzati».
Ma Ronghi non si ferma a questo. Chiede di conoscere come sono gestite le aziende agricole, e perché 38 ettari di terreno in quella laziale sono stati affittati alla società Aviocaipoli, per realizzare una pista di volo per aerei ultraleggeri, a un canone provvisorio di 5 mila euro l'anno. Chiede di sapere il motivo per cui si spendono centinaia di migliaia di euro di consulenze. Chiede chiarimenti sulla lievitazione dei costi di alcuni appalti per sistemare locali. E cita come esempio di gestione «fallimentare » un fatto incredibile: la vendita di 30 mila bottiglie di vino Doc prodotto dall’azienda agricola marchigiana al prezzo di un euro l’una, «a fronte di un valore che va da 5,50 a 12 euro, con una perdita secca di 200 mila euro». Un quadro, quello dipinto da Ronghi stupefacente. Condito da una quantità incredibile di particolari sconcertanti, come quello di un presunto furto di 37 vacche dalle stalle di Passerano, dove secondo un’altra sua interrogazione presentata a febbraio del 2009 sarebbero morti «oltre cento capi di bestiame». Magari i suoi sospetti sulla evaporazione di alcuni beni erano esagerati . Ma è difficile da credere che un privato avrebbe gestito peggio di così tutto questo ben di Dio. E l’Istituto Colosimo, con i suoi ospiti non vedenti, sarebbe letteralmente coperto d’oro. Sapete quanti sono oggi i ciechi per i quali viene giustificata l’esistenza in vita della società immobiliare della Regione, con i suoi amministratori, il collegio sindacale, i dirigenti, i dipendenti, i contabili, le aziende agricole, i castelli, i 52 appartamenti dei Parioli, le pratiche burocratiche, gli appalti e gli scontri furiosi in consiglio regionale? Sono quarantasette, dei quali appena trentuno a convitto.
Un patrimonio immenso che doveva finire in beneficenza «bruciato» dalle malefatte della burocrazia
Ecco, di seguito, un brano di «Rapaci» di Sergio Rizzo.
Il barone Giovanni Paolo Quintieri non poteva prevedere un finale più acido. Non poteva, perché quando ha fatto testamento la Regione Campania non esisteva ancora. Mai avrebbe dunque immaginato che un giorno tutto il suo sterminato patrimonio sarebbe finito nelle mani dei politici. Anche se la politica, il barone Quintieri, l’aveva avuta in famiglia. Suo padre Angelo fu deputato del parlamento del Regno d’Italia per sei legislature Mentre lui si dava alla politica, sua moglie Evelina Casalis profondeva energie e soldi per i ciechi dell’istituto Paolo Colosimo di Napoli. Il figlio seguì con tale convinzione le benefiche orme della madre al punto che alla sua morte, avvenuta il 18 agosto del 1970, lasciò in eredità ogni cosa a loro. L’immenso patrimonio della famiglia Quintieri venne perciò inizialmente assorbito dal Patronato Regina Margherita pro ciechi Istituto Paolo Colosimo. Poi nel 1979 passò tutto alla Regione Campania. E qui comincia un’altra storia. Per «tutto» si intende quanto segue.
Un enorme castello medievale, fra i più grandi e meglio conservati dell’Italia centrale, già appartenuto alle famiglie Colonna, Orsini e Rospigliosi, con intorno una tenuta agricola, a una trentina di chilometri da Roma, località Passerano: 900 ettari con oliveti, coltivazioni a mais, orzo, grano e fieno, e quasi cinquecento capi di bestiame. Una seconda tenuta agricola di 160 ettari, sempre con relativo castello, nelle Marche, a Montecoriolano, nei pressi di Porto Potenza Picena. Una serie di possedimenti in Calabria. Un palazzo di 52 appartamenti costruito durante il fascismo a Roma, in via Panama, nel cuore del prestigioso quartiere dei Parioli. Oltre, naturalmente, agli arredi e alle suppellettili presenti nelle dimore. Nel 1996, quando alla presidenza della Regione c’è Antonio Rastrelli, si fa un inventario con 765 voci. Vasi cinesi. Lampadari di Murano. Tappeti persiani. Candelabri d'argento. Salotti d’epoca. E quadri. Tanti da riempire una pinacoteca. Quadri di Domenico Bartolomeo Ubaldini, detto Il Puligo, pittore del primo Cinquecento. Quadri di alcuni fra i più importanti pittori del Seicento e del Settecento. Andrea Vaccaro. Giacinto Diano. Francesco De Mura. Gaetano Gandolfi. Peter Roos, alias Rosa da Tivoli. Pacecco De Rosa. Giovanni Francesco Barbieri, detto Il Guercino. Jusepe de Ribera, detto Lo Spagnoletto. E Rembrandt. Già, anche un «Ritratto di gentiluomo a mezzo busto» dipinto nel 1635 dal celebre pittore olandese Rembrandt Harmeszoon Van Rijn.
Il testamento del barone Quintieri stabilisce che il lascito serve a mantenere il Colosimo e i suoi ospiti non vedenti. Ma non dice come debba essere amministrato. Il condominio di Roma, i castelli, le ville, le tenute e quant’altro vengono quindi affidati alla Sauie, Società anonima urbana industria edilizia srl, una vecchia scatola creata dal barone proprio per gestire l’immobile di via Panama, che passa anch’essa sotto il controllo della Regione Campania e diventa la stanza dei bottoni per amministrare un patrimonio di centinaia di milioni di euro Quale però sia il rendimento di questo incredibile tesoro, è un capitolo a parte All’inizio degli anni Duemila inizi una battaglia a suon di interrogazioni condotta da un consigliere regionale di An, in seguito passato all’Udc, Salvatore Ronghi. Denuncia che l’Istituto per i ciechi ha ricevuto per vent’anni soltanto le briciole: 600 milioni di lire l’anno, per giunta soldi versati dagli enti locali e non proventi dell’eredità Quintieri. Che le pigioni sono ridicole, e porta l’esempio di un appartamento di cinque stanze al piano nobile di via Partenope affittato per anni a 85.535 lire al mese Che «a seguito di tale, a dir poco, disinvolta amministrazione », gli eredi della famiglia Quintieri hanno fatto causa per rientrare in possesso dei beni «così malamente utilizzati».
Ma Ronghi non si ferma a questo. Chiede di conoscere come sono gestite le aziende agricole, e perché 38 ettari di terreno in quella laziale sono stati affittati alla società Aviocaipoli, per realizzare una pista di volo per aerei ultraleggeri, a un canone provvisorio di 5 mila euro l'anno. Chiede di sapere il motivo per cui si spendono centinaia di migliaia di euro di consulenze. Chiede chiarimenti sulla lievitazione dei costi di alcuni appalti per sistemare locali. E cita come esempio di gestione «fallimentare » un fatto incredibile: la vendita di 30 mila bottiglie di vino Doc prodotto dall’azienda agricola marchigiana al prezzo di un euro l’una, «a fronte di un valore che va da 5,50 a 12 euro, con una perdita secca di 200 mila euro». Un quadro, quello dipinto da Ronghi stupefacente. Condito da una quantità incredibile di particolari sconcertanti, come quello di un presunto furto di 37 vacche dalle stalle di Passerano, dove secondo un’altra sua interrogazione presentata a febbraio del 2009 sarebbero morti «oltre cento capi di bestiame». Magari i suoi sospetti sulla evaporazione di alcuni beni erano esagerati . Ma è difficile da credere che un privato avrebbe gestito peggio di così tutto questo ben di Dio. E l’Istituto Colosimo, con i suoi ospiti non vedenti, sarebbe letteralmente coperto d’oro. Sapete quanti sono oggi i ciechi per i quali viene giustificata l’esistenza in vita della società immobiliare della Regione, con i suoi amministratori, il collegio sindacale, i dirigenti, i dipendenti, i contabili, le aziende agricole, i castelli, i 52 appartamenti dei Parioli, le pratiche burocratiche, gli appalti e gli scontri furiosi in consiglio regionale? Sono quarantasette, dei quali appena trentuno a convitto.
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