TESTIMONIANZE: Boom del biogas a Cremona. Ma non mancano i problemi

di Michele Scolari

Dal vuoto normativo all’impatto ambientale: i primi dubbi sul “miracolo cremonese”. Comitati e associazioni accusano: «consumo di suolo, affitti alle stelle, sversamenti incontrollati e aree protette a rischio»

Con l’esplosione della corsa alle biomasse la Lombardia si avvia a diventare la “caldaia” d’Italia (come spiega l’inchiesta pubblicata il 29 agosto da Luca Zorloni su Il Giorno). Di questa corsa Cremona rappresenta il cuore pulsante: una gigantesca centrale alimentata dal biogas prodotto nelle decine di biodigestori spuntati come funghi sotto la pioggia di incentivi pubblici (che continua tutt’ora a scrosciare, anche se il legislatore sta cercando di porvi un freno). In provincia di Cremona gli impianti attivi sono 137 (sui 400 dell’intera Lombardia, destinati, avverte il professor Michele Corti sul blog Sgonfiailbiogas.it, a diventare 500 nel 2014): più di Brescia (55) e più di Mantova (77), che pure vanterebbero una superficie coltiva maggiore. E altri 25 impianti sono in via di autorizzazione (nel cremasco ne viene autorizzata in media uno alla settimana). Un primato regionale (e nazionale) che, secondo l’assessore provinciale all’Agricoltura Gianluca Pinotti, ha prodotto un investimento da 400 milioni di euro in cinque anni: «circostanza senz’altro positiva negli attuali tempi di crisi, considerando che produrre un megawatt costa circa 4 milioni di euro, e che in 5 anni Cremona ne ha prodotti 96 all’anno». Ma a questo record si legano anche troppi dubbi, originati dallo scetticismo di associazioni ambientaliste e comitati. Lo stesso assessore provinciale Luca Pinotti dichiarava a “Il Giorno” che «il mercato è stato sbilanciato a favore delle energie rinnovabili, l'incentivo ha favorito la speculazione».

NORMATIVA FARRAGINOSA E VULNERABILITA’ AMBIENTALE
Ma a questo record si legano anche numerosi dubbi, originati dallo scetticismo di associazioni ambientaliste e comitati (anche Pinotti ha dichiarato a “Il Giorno” che «il mercato è stato sbilanciato a favore delle energie rinnovabili, l’incentivo ha favorito la speculazione»). Dubbi ai quali fa da cappello la premessa del vuoto normativo che ha posto inizialmente pochissimi paletti alla proliferazione di impianti. «Da parte della Regione Lombardia sono mancate delle linee guida chiare e definite sulle zone che avrebbero dovuto essere inibite al biogas e così si sono autorizzati digestori un po’ ovunque, in modo disordinato – spiega Maria Grazia Bonfante, coordinatrice provinciale dell’associazione Salviamo il Paesaggio. – Autorizzazioni che continuano tutt’ora da parte dei Comuni a suon di Pas (procedure abilitative semplificate)». Contestualmente, «i sindaci dei paesi si sono trovati di colpo tra capo e collo queste strutture, pur senza delle squadre di tecnici specialisti né tantomeno norme che regolamentassero almeno la posizione degli impianti (dato che in Conferenza dei Servizi il Comune è interpellato per dare parere urbanistico)». Questa premessa si lega al discorso della vulnerabilità del territorio: «la nostra campagna – prosegue Bonfante – si trova in una delle 5 aree più inquinate al mondo ed è già oppresso da industrie pesanti, dal problema dei nitrati derivanti dall’allevamento suinicolo e dalla progressiva cementificazione. La Provincia non avrebbe dovuto considerare questo impatto cumulativo prima che avvenisse l’autorizzazione di quasi 140 impianti a biogas?».

DEPAUPERAMENTO DEL SUOLO, AFFITTI ALLE STELLE E DIFFICOLTA’ AD ONORARE I PIANI FINANZIARI
Uno dei problemi entrati prepotentemente in scena con il “gas verde”, infatti, è il depauperamento dei terreni cremonesi, definiti dallo stesso Pinotti «tra i più fertili d’Europa»: questione già affrontata in passato sia dalla mozione presentata dal consigliere provinciale del Pd Mariarosa Zanacchi, sia dall’interrogazione depositata dal capogruppo dei democratici Andrea Virgilio. Se c’è chi, in seguito al crollo del prezzo del mais tra 2007 e 2009, considera legittimo l’uso dei campi a fini energetici, secondo Maria Grazia Bonfante si parla di «mero sfruttamento», che ha creato una «distorsione agricola ed economica. Le prime conseguenze sono l’importazione di mais dalle province vicine (aumentando il problema delle polveri con il traffico di trattori) e la creazione di una disparità tra chi ha il biogas e gli altri agricoltori. Inoltre, gli affitti dei terreni si sono triplicati (con un beneficio solo per gli affittuari), è salito il prezzo del mais e sono stati sottovalutati i costi di manutenzione. Il tutto con conseguenze nefaste anche per l’economia: per molti agricoltori infatti tutto ciò ha reso i piani finanziari difficilmente onorabili (nel cremonese sembra vi siano già 4 o 5 aziende messe in vendita)». E i dubbi proseguono sul piano energetico. I sindaci possono autorizzare impianti sino a un megawatt solamente se questi hanno la cogenerazione (diversamente vanno autorizzati dalla Provincia). «Ma siamo sicuri che tutti gli impianti vicini al megawatt (nel cremonese sono il 70%) abbiano effettivamente la cogenerazione (il recupero combinato di energia elettrica e termica)? Valutare l’effettiva presenza di questo requisito richiede l’intervento di tecnici con competenze altamente specifiche (di cui molti Comuni soffrirebbero la mancanza)». E nel cremonese i comitati, con la consulenza di specialisti, avrebbero già segnalato un caso in cui la cogenerazione sarebbe stata indicata solamente sulla carta. «E’ un caso isolato o ce ne sono altri? Sono stati fatti adeguati controlli?».

SVERSAMENTI INCONTROLLATI, AREE PROTETTE A RISCHIO E LE OMBRE DEL “BIOGAS A RIFIUTI”
Altre severe verifiche, prosegue Bonfante, sarebbero urgenti per appurare che sia effettivamente rispettata la distanza degli impianti dai corsi d’acqua e che non vengano forate le sponde con i tubi di scarico, nonché per fermare ripetuti casi di rogge e fontanili inquinati dagli sversamenti di presunti liquami e digestato (puniti dal 1° gennaio con la legge 156 del 2006) che rischiano di percolare nelle numerose falde acquifere subaffioranti della campagna cremonese (elencate nelle relazioni idrogeologiche dei Comuni). Altri controlli ancora vengono richiesti dai comitati sulle modifiche richieste da alcune aziende nelle ricette del combustibile (incluso l’inserimento di rifiuti organici). «Divenendo difficile persino la già contestata alimentazione a mais (per le grandi quantità richieste) auspichiamo che vi siano verifiche per accertare che, nonostante le modifiche alle ricette, le aziende rispettino almeno il requisito per definirsi impianto agricolo (calcolato anche in base alla quantità di prodotto interno utilizzato), necessario per ottenere un regime fiscale Iva agevolato e i contributi agricoli; contestualmente – avverte Bonfante – nutriamo seri dubbi sul “biogas da rifiuti organici” auspicando che non si trasformi in “far-west” incontrollato». I comitati infatti sottolineano come usare i rifiuti per il recupero energetico significhi in realtà non volerli ridurre affatto, poiché ne servirebbero sempre di più per garantire il funzionamento e la redditività dei digestori. «E nel Piano Regionale dei Rifiuti sono inscritti, anche se in sede di pura possibilità, i presupposti per trasformare gli impianti a biogas in inceneritori di rifiuti».
Dopo le 25 centrali già in progetto, a Cremona la corsa sarà arrivata al capolinea? Ci sarà ancora spazio per dare redditività alle filiere tradizionali? «La vera risorsa per un comparto come quello cremonese, caratterizzato da un’agricoltura di qualità, è nell’agroalimentare» conclude Bonfante. Una risorsa «da valorizzare il più possibile», soprattutto dopo l’auspicio di premiare questo settore concentrandovi i fondi dell’Expo, espresso dal sottosegretario all’Expo Maurizio Martina alla festa del Pd di Ombrianello.

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